SULLE ORME DELLO PSEUDOMONAS – IDENTIKIT DEL NEMICO

SULLE ORME DELLO PSEUDOMONAS – IDENTIKIT DEL NEMICO

Dott.ssa Martina Rossitto, biologa ricercatrice presso l’unità di medicina multimodale di laboratorio dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù

“Un’analisi molecolare longitudinale e approfondita dell’evoluzione decennale dei fattori di virulenza e della resistenza antimicrobica di Pseudomonas aeruginosa in pazienti con Fibrosi cistica”… un anno dopo.

Partiamo da quello che era successo “nella puntata precedente”…

Nella riunione scientifica di aggiornamento di ormai più di un anno fa avevamo presentato i risultati preliminari, eccitanti al momento soprattutto per noi microbiologici ma presto forieri di novità importanti anche per i pazienti FC, di questo studio ambizioso sostenuto da LIFC OFFICIUM. La nostra idea di indagare nel dettaglio l’adattamento nel tempo di vari Pseudomonas aeruginosa (che chiameremo PA per comodità) che colonizzano in maniera cronica una cinquantina di pazienti FC ci aveva dato delle prime conferme. 22 PA da 11 pazienti erano stati sufficienti a farci capire che il primo PA che avevamo conservato a -80°C, in alcuni casi nel lontano 2005, era il progenitore di quello che ritrovavamo nello stesso paziente a distanza di anni (anche 18!). Questo ci confermava che potevamo seguire nel tempo l’adattamento del batterio al suo “ospite umano”, fino al raggiungimento della maggiore età verrebbe da dire (se non fosse che per i batteri la maturità è generalmente questione di una manciata di ore). Altra sorpresa, in realtà poco sorprendente: esistevano tra i nostri pazienti dei cloni di PA condivisi.

E non solo, alcuni di questi cloni erano ben noti nella comunità scientifica per le loro “rischiose” caratteristiche: sono infatti denominati “high risk clones/ cloni ad alto rischio” e circolano nel mondo arrivando ad infettare anche i pazienti FC.

In questo anno abbiamo studiato 610 ceppi di PA provenienti da 51 pazienti FC che sono stati o sono tuttora in cura nel nostro centro. Tra questi pazienti abbiamo incluso 14 pazienti con prognosi infausta (4 andati incontro a trapianto polmonare, 3 deceduti negli anni successivi al trapianto e 7 pazienti deceduti prima di eseguire il trapianto) con l’obiettivo di capire se determinati cloni di PA avessero un impatto maggiore di altri sulla prognosi. In 5 casi, questo sottogruppo di pazienti risultava colonizzato da cloni ad alto rischio, noti in alcuni casi per essere associati ad un’aumentata mortalità. Invece, in altri 4 pazienti (2 trapiantati e 2 a esito infausto) abbiamo osservato la presenza di un clone di PA (chiamato 3243) che non era stato finora descritto come pericoloso per l’uomo o capace di circolare largamente in ambiente ospedaliero. Nel nostro ospedale invece sembra aver circolato discretamente, tanto che lo ritroviamo in un quarto dei 51 pazienti studiati: questo dato suggerisce che il clone 3243 abbia la potenzialità di diffondere e sia ben adattato a vivere nel polmone FC. Non a caso, si presenta da subito con un set di determinanti di resistenza agli antibiotici che esprime con il passare degli anni e il susseguirsi delle terapie somministrate ai pazienti. Il risultato è che, in tutti i pazienti colonizzati, questo clone ha sviluppato resistenza a quasi tutti gli antibiotici a disposizione. Altro punto “di interesse” di questo clone sconosciuto: ad eccezione di 3 casi, sporadici e passeggeri, non è di norma in grado di sviluppare un fenotipo mucoide, considerato classicamente un marcatore di cronicizzazione, Nonostante questo, nessuno dei pazienti entrati in contatto con questo clone lo ha eradicato, né con antibiotici, né con trapianto, né con Kaftrio.

Vi siete resi conto di cosa abbiamo fatto fin qui?

Abbiamo stilato un identikit di un PA che circola tra i pazienti del nostro centro. A cosa ci serve questo? A individuare strategie mirate per quei pazienti già colonizzati da questo clone e per quelli che eventualmente lo acquisiranno in futuro. E immaginate questo lavoro di tracciamento di un profilo di “cattiveria/innocenza” fatto per tutti i cloni che abbiamo ritrovato in questi 51 pazienti. Per ogni clone stiamo scoprendo che impatto ha avuto sui pazienti che ha colonizzato, che tendenza mostra a cronicizzare piuttosto che ad essere rimpiazzato da altri cloni (magari più aggressivi) e come si adattata negli anni alle terapie (modulatori compresi).

Mettere insieme tutti i tasselli di questo puzzle ci consentirà di arrivare a una personalizzazione delle terapie ancora maggiore. Non tratteremo più tutti i pazienti con PA allo stesso modo, applicando gli stessi approcci e protocolli indiscriminatamente: adatteremo le terapie al clone del paziente, adottando strategie che, se non riescono ad eradicarlo, lo renderanno almeno il più innocuo possibile.

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