Martina, biologa per sfida
Ho 30 anni, mi chiamo Martina e ho la fibrosi cistica, anche nota come fc.
Avere l’fc per me vuol dire svegliarsi alle 6:30 ogni mattina, per fare aerosol e fisioterapia respiratoria e la sera rifare tutto daccapo; vuol dire prendere “n” pasticche a colazione e cena.
Avere l’fc vuol dire che quando devo partire metà della valigia è occupata da aerosol e medicine (e quando stai partendo per un matrimonio, e devi ficcarci dentro un tacco 12, ogni centimetro libero della valigia è prezioso!), senza dimenticare che quasi sicuramente ai controlli in aeroporto ti faranno aprire tutto, per assicurarsi che i tuoi aerosol non siano bombe.
Avere l’fc vuol dire soprattutto tossire molto, tanto che i tuoi amici sapranno individuarti in mezzo a una folla grazie a un colpo d tosse; e viceversa vuol dire anche sentire la mancanza di quella particolare tosse… quella degli amici che la malattia si è portata via nel tempo.
Avere l’fc è aver accettato di farmi posizionare un catetere venoso centrale nel braccio, cosicché, ogni volta che devo fare un ciclo di 15 giorni di antibiotici endovena, ho un accesso facile che posso gestire autonomamente, visto che le mie vene, ormai, non sono più utilizzabili. E se pensate sia gravoso tutto questo, considerate che sono fortunata, perché il mio pancreas non è stato toccato dalla malattia, quindi non devo prendere enzimi ad ogni pasto per assorbire i grassi che mangio né farmi l’insulina, come la maggior parte degli altri pazienti.
Avere l’fc vuol dire mesi di allenamento per riuscire a correre per 1 minuto consecutivo, avendo bisogno solo di 1 minuto e mezzo per riprendere fiato e ricominciare.
Avere l’fc, nel mio caso specifico, vuol dire anche decidere di mettere a frutto una delle mie passioni, per cercare un futuro diverso.
Non ho mai sognato di fare il medico, anzi: ero convinta che i medici non avessero tutte le risposte e che avessero bisogno di qualcuno che, lavorando dietro le quinte, li aiutasse a trovarle. Per questo ho scelto biologia all’università. Inizialmente il piano era quello di dedicarmi alla terapia genica in fc ma quando ho realizzato che le mie mutazioni, poco frequenti, non erano molto considerate in studi mirati a correggere il difetto cellulare responsabile della malattia, ho cambiato rotta e sono approdata alla microbiologia.
I polmoni di noi pazienti fc “ospitano” intere comunità di batteri, con cui dobbiamo convivere e che dobbiamo tenere sotto controllo, tramite terapie quotidiane o antibiotici in vena quando diventano troppo “invadenti”.
Questo cambio di rotta, dicevo, mi ha portato ad approdare, 5 anni fa, nel laboratorio di microbiologia della fibrosi cistica dell’Ospedale Bambino Gesù. Qui, in questi anni, grazie a borse di studio di OFFICIUM e al sostegno dell’Ospedale ho avuto modo di svolgere ricerche importanti, per individuare precocemente il batterio riconosciuto come il più dannoso per i nostri polmoni e poi trovare virus che lo uccidano, perché per loro natura se ne nutrono.
La psicologa dell’Ospedale ha sempre pensato non fosse una buona idea: lavorare sulla mia malattia, non staccare mai la testa, occuparmene anche per professione. Ma in realtà, quando mi infilo il camice e mi dedico agli esperimenti o ad osservare batteri, non sono più solo una paziente. Credo anzi che, per quanto possa sembrare strano, questo rapporto quotidiano con quei batteri che mi rovinano da dentro me li ha resi meno spaventosi, meno terribili. È come se conoscerli e poterli guardare “in faccia” mi dia l’impressione di avere un minimo di controllo sulla mia malattia e sulla mia vita. E poi vi dirò, in realtà a me i batteri affascinano proprio…forse è così che si sente una microbiologa.
Concludo con questo pensiero: una frase di una canzone recita: “la cura spesso è nascosta dentro la malattia”… la trovo veramente potente, perché mi piace l’idea che un malato possa trovare, studiando se stesso, una cura…
Altrimenti non farei quello che faccio con passione, determinazione e speranza.