IL SALUTO DELLA DOTTORESSA TABARINI – Quarant’anni di sostegno psicologico in Fibrosi Cistica
Correva l’anno 1985, operavamo come Servizio di Psicologia Pediatrica presso la sede di Palidoro e S. Marinella dell’Ospedale Bambino Gesù e fummo chiamati dal responsabile del nuovo Dipartimento di Cardiochirurgia dell’Ospedale, presso la sede del Gianicolo, per iniziare a lavorare con i bambini candidati a trapianto cardiaco e in generale con tutti i bambini con cardiopatia. Da lì nel giro di pochi anni hanno richiesto il nostro intervento l’Oncologia, l’Ematologia, la Nefrologia/dialisi,…… e la Fibrosi Cistica nella persona della dott.ssa Lucidi che volle fortemente il nostro intervento con i suoi pazienti.
Negli anni a seguire, gran parte dei reparti del nostro ospedale hanno richiesto il nostro intervento. Aumentammo pertanto il numero di psicologi operanti nella sede del Gianicolo. Per un periodo abbiamo tenute attive le tre sedi: Palidoro, S.Marinella e Roma; dopo alcuni anni fu deciso dalla Direzione dell’Ospedale di mantenere solo la sede di Roma che richiedeva molto impegno avendo allargato i propri interventi a tutta la trapiantologia ed a cure sempre più sofisticate che richiedevano il sostegno ai pazienti ed ai familiari. In seguito poi la figura dello psicologo è tornata ad operare anche nelle sedi periferiche.
L’alta complessità delle cure, le lunghe degenze, il cambio repentino della vita dei pazienti ci ha portato a riflettere sull’importanza di creare dei percorsi di assistenza per i pazienti che contemplassero:
- la presa in carico fin dall’esordio della malattia,
- il lavoro precoce ed immediato con le famiglie per sostenerle ed evitare, nel limite del possibile, che le loro angosce si riversassero sui pazienti,
- l’attenzione allo sviluppo dei bambini/adolescenti in presenza di malattie, di interventi importanti, di terapie che colpiscono il corpo e l’immagine di sé,
- l’importanza dell’informazione/preparazione dei bambini rispetto alla patologia ed alle cure da affrontare.
Tutto questo nel tempo è stato uniformato in molti reparti, sempre tenendo presenti le differenze delle patologie, e sono nati i primi protocolli (tutt’ora alcuni archiviati in Direzione Sanitaria) di cui il primo è stato quello della Cardiochirurgia ed il secondo il protocollo psicologico per la Fibrosi Cistica. Dapprima la modalità di lavoro prevedeva che uno psicologo prendesse in carico il paziente (non considerando la patologia) per tutto l’arco della malattia. Pertanto molti dei nostri pazienti ricordano la dott.ssa Rossi o la dott.ssa De Ranieri alle quali ancora sono legati da un sincero affetto e riconoscenza.
In seguito, anche su richiesta dei medici, ognuno di noi è diventato il referente per alcune patologie. Una delle malattie di cui sono stata referente è stata la Fibrosi Cistica. Insieme ai colleghi abbiamo costruito nel tempo, senza non poche difficoltà, un protocollo multidisciplinare che ancora oggi viene preso ad esempio dalla Direzione Sanitaria per il modello di lavoro che contempla una sinergia tra tutti i componenti dell’equipe allargata.
Difficile in poche righe riportare quasi quarant’anni di lavoro insieme. Ora con i nuovi modulatori si può raccontare un’altra storia. Chi non ha vissuto la malattia fin dall’inizio forse non riesce a considerare il cambiamento epocale avuto con i nuovi farmaci. Ancora ricordo l’emozione della dott.ssa Lucidi, che ancora sento sulla pelle, quando comunicò ai primi pazienti la possibilità di iniziare i trials con il nuovo modulatore.
Venivamo da anni molto bui. La malattia non ha fatto sconti. I ragazzi hanno retto all’impatto con la sofferenza e la morte facendo gruppo. Non dimenticherò mai quando alcuni di loro si sono molto arrabbiati con il dott. Bella e con me perché non li avevamo avvisati della morte di una ragazza (ancora non erano in commercio i cellulari). Volevano assolutamente saperlo ed esserci. E poi i primi trapianti, periodo anche quello molto difficile; faticoso pensare anche per noi operatori, che in alcune situazioni non si poteva più curare la malattia, le terapie non erano più efficaci e si doveva dare indicazione al trapianto polmonare.
Un passaggio complesso anche questo considerando che erano i primi trapianti polmonari in Italia. Abbiamo combattuto (la metafora bellica è d’obbligo perché è stata veramente una battaglia!) insieme alle famiglie e ai ragazzi per far sì che questi riuscissero ad arrivare nelle migliori condizioni possibili al momento in cui i nuovi farmaci avrebbero cambiato il corso della malattia e della loro vita. Non è stato facile, in special modo con gli adolescenti con i quali spesso siamo arrivati a vere e proprie contrattazioni, come se la problematica appartenesse a noi sanitari e non a loro. Non avevamo tempo per aspettare che passasse l’adolescenza perché non ce lo potevamo permettere. Il tempo era prezioso per l’esito della malattia, pertanto si è cercato di lavorare in equipe per far sentire la nostra presenza comunque e permettere ai ragazzi di sentirsi sostenuti in modo tale da continuare a curarsi. La sinergia con l’Associazione è stata molto importante oltre che per sostenere il percorso di cura (abbiamo avuto tre borse di studio per molti anni della dott.ssa S. Graziano, della dott.ssa F. Boldrini e del dott. Milo) anche per mettere in campo aiuti non economici (magari in alcuni casi anche quelli) ma prevalentemente atti a sostenere la stima di sé dei ragazzi in modo non perdere la speranza nel riuscire a vivere nonostante la patologia, come ad es. le “borse di studio Il mio progetto” per sostenere i progetti ed i sogni dei pazienti.
Un lungo percorso trascorso insieme all’Associazione, sempre pronta ad accogliere le richieste che venivano da noi sanitari senza mai passare il “confine” tra il compito del volontariato e quello del sanitario, garantendo un sostegno anche a noi operatori. Un ringraziamento per tutti mi sento di farlo a Silvia Ranocchiari con la quale abbiamo condiviso molto, in tanti ambiti diversi sempre con un profondo vicendevole rispetto e nel tempo amicizia ed affetto. Un grazie ai miei colleghi con i quali siamo cresciuti insieme nel confronto reciproco, sempre con stima, rispetto e riconoscimento della professionalità dell’altro.
Ed infine un ringraziamento va ai pazienti, bambini e ragazzi, che mi hanno permesso di crescere professionalmente ed umanamente, attraverso la condivisione di tante difficoltà, dolori, amarezze ma anche di tanti momenti belli, significativi, clinici e non, che rimarranno impressi nella mia mente.
Il percorso di cura della malattia non e finito ma finalmente si vede la luce in fondo al tunnel!
Grazie a tutti per il cammino fatto insieme e buon proseguimento.